Mozart aiuta a capire il rapporto
tra memoria e creatività
GIOVANNA
REZZONI
NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 11 novembre
2023.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Il
piccolo concertista dalla prodigiosa memoria era già un creatore di musica. Un’inserzione su un giornale di
Francoforte del 30 agosto 1763, così presentava il concerto di Marianna e Amadeus
Mozart:
La
bambina, che ha dodici anni, eseguirà le più difficili composizioni dei grandi
maestri; il bambino, che non ha ancora sette anni, si esibirà al clavicembalo;
suonerà anche un concerto per violino e accompagnerà alcune sinfonie alla
spinetta, che avrà i tasti coperti da un panno, altrettanto facilmente che se
potesse vedere i tasti; inoltre indovinerà qualsiasi nota suonata in lontananza[1], sia se suonata da sola, sia se
suonata in accordo, su qualunque strumento. Alla fine improvviserà pezzi all’organo
e al clavicembalo, di qualsiasi estensione e in qualunque chiave[2].
L’anno
prima, nel 1762, i due bambini-prodigio avevano suonato per la coppia
imperiale: “Wolfgang saltò in grembo all’Imperatrice, l’abbracciò e la baciò;
sfidato dall’Imperatore suonò il violino con un solo dito e poi si mise al
clavicembalo e continuò a suonare ininterrottamente con i tasti nascosti da un
panno”[3].
Marianna
a undici anni era già una virtuosa del clavicembalo; stimolato dal suo esempio,
Wolfgang Amadeus aveva cominciato a studiare a tre anni, a quattro suonava
perfettamente molti brani a memoria e a cinque anni inventava composizioni che
suo padre trascriveva, insegnandogli la redazione degli spartiti. Della ricca
infanzia concertistica di Mozart ricordiamo solo un altro episodio:
Nel
1764 la famiglia Mozart fu ricevuta a Londra da Re Giorgio III e consorte: “Wolfgang
suonò per quattro ore Händel, Bach e altri grandi maestri; accompagnò la Regina
Carlotta che cantava e improvvisò una nuova melodia su un motivo di Händel.
Johann Christian Bach, che si era stabilito a Londra nel 1762, si mise il
bambino sulle ginocchia ed eseguì una sonata con lui: eseguivano una battuta a
testa, «con tale perfezione che mai si sarebbe sospettato che gli esecutori
fossero due». Poi Bach attaccò una fuga. Wolfgang continuò, e fu di nuovo come
se i due geni fossero uno solo. Da quel giorno, per molti anni, le composizioni
di Mozart rivelarono l’influenza di Bach[4].
Infine,
un fatto accaduto quando il precocissimo genio della musica aveva quattordici
anni. Dopo essere stati a Firenze alla corte del Granduca Leopoldo, i Mozart si
recarono a Roma per i concerti della settimana santa:
Giunsero
appena in tempo per recarsi alla Cappella Sistina e ascoltare il “Miserere” di
Gregorio Allegri, che veniva eseguito ogni anno. Le copie della famosa
composizione, scritta per quattro, cinque o nove parti, erano difficili da
trovare. Mozart l’ascoltò due volte, poi la scrisse a memoria[5].
Gli
aspetti che teoricamente si possono rilevare e analizzare in questi brevi
estratti biografici sono vari, e
ciascuno meritevole di attenzione, dalla precocità geniale alla differenza con
la sorella, dalla dote dell’orecchio assoluto all’intelligenza musicale, ma qui
soffermiamo l’attenzione solo su una facoltà a supporto dell’apprendimento e
della creatività, che consentiva a Mozart di comporre già all’età di cinque
anni e a quattordici scrivere a memoria lo spartito del “Miserere” di Gregorio
Allegri dopo averlo ascoltato solo due volte.
Abilità
di memoria e creatività sono connesse più di quanto comunemente si immagina. Durante il secolo scorso, particolarmente
tra gli anni Sessanta e Novanta, era diffusa nel nostro paese un’opinione,
sostenuta vigorosamente da molti intellettuali quasi fosse parte di un
costrutto ideologico, secondo cui la memoria, intesa come esercizio di
memorizzazione, si contrapponeva in modo assoluto e inconciliabile con l’abilità
creativa, che sarebbe stata soffocata dalla memorizzazione di testi, ritenuta
una pratica promotrice di passività.
Niente
di più falso in termini neurofisiologici. Questa idea era nata con ogni
probabilità per reazione contro una tendenza dell’insegnamento scolastico delle
epoche precedenti a richiedere la memorizzazione di poesie, interi canti della
Divina Commedia e brani modello in latino dei maggiori autori di epoca aurea.
Le opinioni sulla didattica sono discutibili, ma queste, giuste o sbagliate che
siano, si riferiscono all’uso delle abilità di un tipo particolare di
memoria dichiarativa o esplicita, ossia la memoria semantica, mentre il
nostro cervello adotta un ampio spettro di processi mnemonici differenti per
tutte le esigenze della vita quotidiana. Dunque, non si giustifica la
demonizzazione della memoria diffusa nella cultura popolare per decenni.
In
quello stesso periodo si è anche affermata una nuova concezione della creatività,
non più intesa come abilità dell’ingegno umano di generare e produrre
innovazione, progresso, opere di artigianato da apprezzare, capolavori d’arte da
ammirare, ma intesa come capacità di realizzare effetti di novità, in
tal modo consentendo di gratificare con la qualifica di “creative” tante
persone semplicemente fantasiose o eccentriche.
Tanto
premesso, qui ci riferiamo alla memoria come insieme dei processi che
consentono la conservazione della traccia neurale di un’esperienza, e alla creatività
come capacità cerebrale di operare su simboli, generando prodotti considerati
validi e originali secondo criteri culturali (di arte, scienza, tecnica, ecc.)
e giudizio di ragione comune.
La
creatività non dipende solo dall’intenzione, dal desiderio e dalla
tendenza a pensare cose nuove, ma anche dall’effettiva possibilità che ha la
mente nella sua attualità funzionale di gestire gli elementi simbolici da
combinare nella struttura nuova dell’idea da creare. Dunque, un limite alla
creatività è dato dalla “capienza” della memoria a breve termine di ciascuno,
in altre parole dall’estensione o span della memoria di funzionamento
o working memory.
Tale
dimensione non è come un contenitore indifferente nel volume alla materia che
deve contenere, ma è una potenzialità funzionale che dipende dal tipo di
elementi che si vogliono ritenere e, particolarmente, dal modo in cui questi
elementi sono concettualizzati e resi distinti e riconoscibili,
ad esempio simbolizzandoli con lettere, numeri, ideogrammi. Nel testing
cognitivo assisto da computer, si valuta lo span di cifre e di parole. Fin
dall’infanzia si apprezzano differenze individuali, ma con l’esercizio si può
ottenere facilmente un aumento significativo delle dimensioni dello span,
ossia del potere di gestire simboli.
In
effetti, decenni di studi di neuropsicologia e poi di neurofisiologia cognitiva
della memoria umana hanno individuato convenzionalmente delle unità di spazio
della memoria di funzionamento, che corrispondono al limite neurobiologico dell’immagazzinamento.
Una parola occupa un tale spazio virtuale. L’impegno per ricordare una sequenza
di dieci note mai udita prima si può paragonare allo sforzo che si fa per
ricordare un elenco di dieci parole nella corretta successione: è necessario
riascoltare e cercare di fissarle per rammentarle con precisione. Ma, se ci
riflettiamo, una parola è costituita da tante lettere e, ricordando una parola
con una sola unità di memoria, possiamo rievocare tutte le lettere che la compongono;
così ricordare un elenco di 10 parole di 10 lettere ciascuna, vuol dire aver
memorizzato 100 lettere nella giusta successione, e sono lettere che si
ripetono senza causare interferenza, perché nel richiamo abbiamo la chiave dell’organizzazione
in parole per recuperarle.
Alla
luce di queste riflessioni possiamo capire cosa era accaduto nel cervello di
Mozart, precocemente istruito intensivamente all’apprendimento della musica: sequenze
molto più lunghe di dieci note erano per lui come una semplice parola. Ma il “prodigio”
di ricordare a memoria e scrivere analiticamente tutta la composizione dopo
averla ascoltata solo due volte, richiede almeno altre due operazioni
automatiche del cervello indotte dal massiccio apprendimento precoce: l’estrazione
di paradigmi di organizzazione delle informazioni e l’inferenza
probabilistica delle variazioni minori rispetto alle radici
costanti.
L’estrazione
di paradigmi e l’inferenza probabilistica sono anche alla base della produzione
creativa: i paradigmi come punto di partenza invece delle
singole note e il gioco probabilistico che si traduce in variazioni
appropriate sul tema.
Le
variazioni su un tema musicale – ma anche su una sequenza logica – possono essere
interpretate come isomorfismi, ossia versioni isomorfe della struttura
di un tema. Uno dei modi della creazione consiste nel produrre “variazioni di
variazioni” conservando la struttura tematica. Le menti creative sono in grado
di approdare direttamente a un terzo o quarto grado di “variazione di
variazione” senza passare per i gradi intermedi; questo iato crea quell’effetto,
talvolta detto “salto creativo”, che tanto impressiona e rende speciali ai
nostri occhi coloro che possiedono questa abilità.
L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanna Rezzoni
BM&L-11 novembre 2023
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è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data
16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica
e culturale non-profit.
[1] Questa è l’abilità detta “orecchio
assoluto”.
[2] Jahn, Life of Mozart I, p. 33, Cambridge University Press,
Cambridge 1882.
[3] Will e Ariel Durant, Storia
della civiltà – Rousseau e la rivoluzione (4 voll.), II vol., Cap. XV: Mozart,
p. 162, Edito-Service, Ginevra e Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1968.
[4] Will e Ariel Durant, op. cit., p.
164.
[5] Will e Ariel Durant, op. cit., p.
166.